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Un'immersione sulla città sommersa di Baia
   
 
 

Di molte delle città fondate dai Romani, e che con il diffondersi della loro civiltà si svilupparono in Campania, si conosce la storia con tale dettaglio che in alcuni casi, come Pompei ed Ercolano, è stato possibile ricostruire l'arredo urbano nel senso più completo del termine, in altre parole anche nel numero e nel tipo di piante che erano utilizzate nella decorazione della città, quanto anche nel modo e nello stile di vita pubblica e privata che vi si conduceva. La storia d'altri centri urbani sviluppatisi in Campania è, invece, nota con minore dettaglio, e solo in questi ultimi anni sono stati compresi aspetti che prima erano sconosciuti. Tra questi il caso forse più emblematico è quello della città di Baia; posta in una posizione geografica incantevole, stretta attualmente tra la terra e il mare, si sa che fu un centro importantissimo nel periodo della Roma imperiale, non solo perché meta della migliore aristocrazia romana, tra cui la famiglia dell'imperatore Claudio, ma anche centro culturale vivissimo, moltissimi sono, infatti, gli autori classici che parlano di Baia nelle loro opere letterarie, ora per esaltare gli effetti benefici delle sue acque e delle sue terme, ora per deplorare gli aspetti più lussuriosi della vita che vi si conduceva.

E' noto che Baia ebbe uno sviluppo significativo in età imperiale, quando nella cultura romana si consolidò ulteriormente l'uso delle terme, non solo come luogo per la cura, ma soprattutto come punto d'incontro, dove era svolta gran parte della vita pubblica ed anche della discussione politica. L'impianto delle terme non era, infatti, in quest'epoca costituito solo dagli ambienti dei differenti bagni (calidarium, tepidarium e frigidarium), ma a loro erano anche e soprattutto associati una serie di ambienti addizionali con funzioni di triclinio, biblioteca, botteghe artistiche, ed aule di discussione. La presenza di una vita culturale così attiva e di un'aristocrazia fine nel gusto e nello stile fece crescere nella città di Baia una serie di botteghe dalla pregevole attività artistica, com'è pure testimoniato dalle numerose opere architettoniche e d'arredo che sono state riportate alla luce nelle differenti campagne di scavo a terra. Proprio lo scavo a terra della città di Baia ha sempre sollevato una serie di problemi relativi, ad esempio, all'organizzazione urbanistica della città. Infatti l'esplorazione dell'area archeologica a terra, ha sempre messo in evidenza la mancanza d'alcune strutture importati e centrali nella città romana, come l'assenza di un vero e proprio centro cittadino, la mancanza di un asse viario di collegamento con la vicina città di Pozzuoli e anche delle sorgenti che dovevano essere state utilizzate nell'alimentazione delle terme.

Solo negli anni cinquanta grazie alle idee e agli studi di N. Lamboglia e A. Maiuri si procedette ad uno scavo a terra al di sotto dell'attuale piano dell'area archeologica, che permise di raggiungere quelle che probabilmente erano alcune delle sorgenti che alimentavano le terme baiane. Questi e altri elementi convinsero i due studiosi da un lato che il destino di Baia doveva essere stato legato a tutti i fenomeni bradisismici che da sempre colpiscono l'area flegrea, e dall'altro della necessità di dare inizio ad una sistematica opera di scavo a mare, nello specchio d'acqua antistante l'attuale tratto di costa, e soprattutto in corrispondenza della Punta Epitaffio. Gli altri dati che spinsero i due studiosi a perseguire questa loro idea furono da un lato la testimonianza che già i pescatori del settecento erano in grado di indicare, a chi ne facesse richiesta, i principali resti romani sommersi, e dall'altro i dati ottenuti da una devastante opera di scavo condotta con la benna nel 1927, questa, seppur distruttiva per molte delle strutture sommerse, aveva riportato alla luce sculture, bassorilievi e altri reperti che permettevano di confidare nel fatto che una parte della città di Baia doveva trovarsi al di sotto dell'attuale livello di costa.

Il lavoro con la benna non è purtroppo l'unico attacco selvaggio che questa zona archeologica sottomarina ha dovuto subire nel tempo. Gran parte dell'area sottomarina, in corrispondenza del Castello di Baia, fu completamente e definitivamente coperta con il terreno tratto dalle cave della soprastante collina, per consentire la costruzione di un nuovo cantiere navale; l'impianto stesso del nuovo porto e lo stazionare nel tempo di numerosi relitti hanno inferto ulteriori danni alle strutture archeologiche sommerse. Inoltre l'esistenza dei resti archeologici era nota da tempo, e da qualche tempo i pescatori prima ed i subacquei poi hanno saccheggiato l'intera area. L'idea e il lavoro proposto da N. Lamboglia e A. Maiuri non era innovativo solo per quel che riguardava gli aspetti più tecnici del lavoro di scavo vero e proprio, ma legando strettamente la sorte di Baia ai fenomeni bradisismici forniva anche una nuova chiave di lettura dei motivi che avevano condotto questa splendida cittadina alla decadenza. Il bradisismo, infatti, non è un fenomeno geologico repentino come lo era stata l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che ha cristallizzato nello spazio e nel tempo la vita e le città di Pompei ed Ercolano; il bradisismo è, invece, una lenta trasformazione morfologica che comporta il progressivo insabbiamento di un intero tratto di costa, trasformando, in questo caso, ciò che era un centro cittadino in una laguna dove venivano allevate cozze ed ostriche, determinando la sostituzione per un breve periodo di un turismo termale di élite, che nel frattempo si spostò ad Ischia, con un turismo più "proletario".
La prima campagna di scavo, promossa nel 1959 nell'area sottomarina in corrispondenza di Punta Epitaffio, permise di identificare l'asse viario che congiungeva Baia a Pozzuoli e i limiti approssimativi dell'area archeologica che si estende dai -4 ai -16 metri e che si discosta dalla linea attuale della costa di circa 400 metri, in altre parole raggiungendo il punto in cui si suppone passasse la costa antica.
La più rilevante delle campagne di scavo, invece, mosse da una mareggiata che nel 1969 fece apparire la porzione absidale di una costruzione cui successivamente fu attribuito il ruolo di ninfeo. Insieme a questa porzione absidale il mare restituì pure due bellissime statue, oggi esposte dopo un accurato restauro al Museo del Castello di Baia, pesantemente danneggiate dai litodomi, ma che un attento studio consentì di identificare come due personaggi della scena omerica dell'inebriamento di Polifemo. Dallo studio attento di queste statue si trasse anche la conferma del fatto che l'intero edificio fosse un ninfeo, perché al loro interno era nascosto un condotto di piombo che evidentemente era stato utilizzato per condurre l'acqua agli altri elementi scultorei che costituivano la scena. La planimetria del ninfeo è stata completamente definita nella campagna di scavo condotta tra il 1981 e il 1982; esso si presenta come un grande ambiente rettangolare di 18x9 metri, che termina proprio nella struttura absidale che il mare aveva scoperto nel 1969. Intorno alla parte centrale corre uno stretto canale quasi completamente rivestito di marmo bianco; nei punti in cui il marmo è stato asportato sono comparsi dei bellissimi mosaici preesistenti costituiti da piastrelline vetrificate e conchiglie. All'interno del piano centrale del ninfeo è possibile osservare una gran vasca e lungo i lati maggiori del rettangolo, una serie di nicchie in prossimità di ciascuna delle quali sono state ritrovate delle sculture. Alcune di loro hanno dei chiari riferimenti con la scena omerica dell'inebriamento di Polifemo, mentre altre sono delle rappresentazioni classiche dei membri della famiglia dell'imperatore Claudio, a testimonianza ulteriore che il ninfeo era parte del palazzo imperiale. La parte centrale del ninfeo, inoltre, è stata ritrovata parzialmente occupata da materiale di riempimento qui apposto, probabilmente, già nel II secolo d.C., il che indicherebbe che già in questo periodo la città di Baia aveva cominciato ad inabissarsi e che era stato necessario porre rimedio ai problemi originatisi dal bradisismo stesso elevando il piano naturale della costruzione. Ciò spiegherebbe pure perché alcune statue, tra cui quella del Polifemo, ed altri arredi architettonici, non siano mai stati trovati in nessuna delle campagne di scavo realizzate. Quando, infatti, il movimento bradisismico ebbe inizio, alcuni degli arredi del ninfeo furono evidentemente spostati, probabilmente modificati e riutilizzati altrove, probabilmente anche in altre città dell'impero. Dell'area archeologica fanno parte anche i resti dell'antico porto romano; a Baia, infatti, si giungeva comodamente da mare dopo una breve navigazione ed un comodo approdo in una baia, appunto, tranquilla e riparata. Del porto romano sono chiaramente visibili i 12 piloni che si ergono maestosi su di un fondale sabbioso. Il passaggio all'esterno dei piloni stessi permette di ammirare un paesaggio quasi lunare, una gran distesa di sabbia dalla luce veramente particolare interrotta qui e là solo da alcune colonne di minuscole bollicine, che indicano le sorgenti a mare d'acqua calda, ulteriore testimonianza del passato termale dell'intera zona. Il passaggio tra le due file parallele dei piloni permette di rendersi conto della grandezza dell'opera realizzata in epoca romana, ma anche come questi elementi ormai si siano completamente integrati nel paesaggio sottomarino, fungendo da substrato e permettendo lo sviluppo di una vivacissima flora e fauna dal carattere spiccatamente mediterraneo. Un'immersione in una zona archeologica così affascinante e ricca di misteri cattura l'attenzione non solo per gli aspetti artistici, urbanistici, storici, ma anche perché, ancora una volta, è possibile apprezzare come il Mediterraneo resiste, in tutti i sensi, alle aggressioni del tempo, della natura e dell'uomo. Seppure non si possano descrivere incontri mirabili ed eccezionali, si può ricordare la presenza, tra le altre, di qualche simpatico e piacevole ospite, come i rossi Apogon imberbis, che tipicamente si nascondono tra gli anfratti creati dai piloni nel loro sgretolarsi, i coloratissimi nudibranchi, tipo l'Hypselodoris valenciennes, lo scapigliato anemone di mare, le trasparentissime claveline e poi nel fondo una piccola Pinna nobilis in compagnia di gasteropodi e bivalvi, ricci e stelle marine che colorano questo particolarissimo braccio di mare Mediterraneo. L'immersione nel porto antico di Baia, così come alla città sommersa, non presenta alcuna particolare difficoltà tecnica, ed è molto piacevole e distensiva anche nel freddo periodo invernale. L'immersione in questa stagione fa apprezzare ancora di più la presenza delle molteplici attività vulcaniche sottomarine della zona, come il frequente incontro di sorgenti calde e di punti del fondale in cui l'abbondanza di zolfo, indica la presenza di sabbia piacevolmente calda, non solo per il subacqueo infreddolito, ma anche per le differenti specie d'animali, che come le castagnole si divertono a nuotare proprio tra le bollicine calde delle sorgenti o vivono adagiati nei pressi dei punti caldi del fondale.

LUIGI MATARAZZO

 

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